ANNO 14 n° 119
Giovedì Web
Starbucks in Italia
e i dubbi della rete
di Samuele Coco
03/03/2016 - 02:00

di Samuele Coco

VITERBO - Se ne parla ormai da tanto tempo, talmente tanto che secondo molti alla fine non sarebbe più potuto succedere, ma dopo tante parole vuote è arrivato l’annuncio ufficiale: Starbucks aprirà il suo primo negozio in Italia nel 2017. La notizia che molti aspettavano, ma che molti altri invece temevano, è arrivata domenica sera proprio dalla bocca del presidente (nonché teorizzatore dello Starbucks che tutti oggi conoscono) Howard D. Schultz.

Nelle ore successive all’annuncio è immediatamente partito il tam-tam in rete: sono in moltissimi i giovani che aspettavano il momento di potersi gustare un frappuccino anche nel Belpaese, ma allo stesso tempo, sono anche tantissimi quelli che si augurano che ''la brodaglia allungata che gli americani chiamano caffè'' subisca invece una proverbiale battuta d’arresto in Italia, ovvero la nazione ritenuta unanimemente come la patria dei bar e del buon espresso.

Non sarà facile per la multinazionale americana riuscire ad imporsi nel nostro territorio, ma questo Schultz lo sa benissimo, infatti la sua idea di caffetteria nasce proprio a Milano dopo aver vissuto e apprezzato la quotidiana tradizione italiana di godersi l’espresso del bar.

Proprio per questo, il lancio è avvenuto senza grossi proclami e tenendo un profilo basso: ''Arriviamo in Italia con umiltà e rispetto'' si legge nel comunicato stampa. In un pezzo sul Washington Post, la giornalista Jena McGregor, ha sottolineato l’importanza nella scelta del giusto approccio per riuscire ad imporsi anche in Italia. Intervistando Laura Ries, una delle consulenti per il brand Starbucks, la giornalista ha potuto aggiungere dettagli a quella che sarà la strategia dell’azienda di Seattle: sembra che ci sarà infatti una specifica miscela di caffè per il mercato italiano, oltre ad aggiungere il bancone tipico dei nostri bar anche nel design standardizzato dei locali Starbucks.

Insomma, gli inventori del frappuccino qui non possono proprio sbagliare, sarebbe un durissimo colpo all’immagine di un brand che non guadagna principalmente dalla qualità dei prodotti che vende, ma dal modello di esperienza che i clienti vivono all’interno dei punti vendita. Si perché il modello anglosassone avrà pure conquistato il mondo, ma qui da noi il panorama è diverso.

Per usare le parole del grande Umberto Eco: ''L’Internet cafe anglosassone è un’esperienza da peep show perché il bar anglosassone è un luogo dove le persone vanno a cullare la propria solitudine in compagnia. A New York puoi dire: ‘Buongiorno. Bella giornata!’ alla persona seduta di fianco a te al bar, ma poi torni subito a rimuginare sulla donna che ti ha appena lasciato''.

Lo scrittore de ''Il nome della rosa'' parlava di modello ''osteria mediterranea'' per descrivere invece i luoghi che racchiudessero l’essenza del folklore tipico delle nostre parti. Sarà infatti proprio questa l’arma che dovranno sfruttare i nostri bar per resistere all’assalto di uno dei simboli del capitalismo:''il senso di comunità'', ''il forte aroma sensuale dell’espresso'', ovvero tutto quello che secondo la biografia di Schultz manca a Starbucks per essere come uno dei nostri bar.





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